Regione | Piemonte (Italia) |
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Anno fondazione | 1991 |
Ettari vitati | 2 |
Indirizzo | Loc. Cascina Ebreo, 3 - 12060 Novello (CN) |
Enologo | Peter Weimer |
La Cascina Ebreo nasce da un’ idea di ritorno alle origini di Peter Weimar, informatico svizzero figlio di contadini, che insieme alla moglie Romy Gygax, decide di ripartire da zero acquistando un casolare in stato di abbandono a Novello, non lontano da Barolo. Il suo approccio nell’allevamento delle uve rosse e bianche è totalmente innovativo e, in tempi non sospetti, quasi folle. Le etichette che produce sono diventate sensazionali vini da collezione, dal carattere fortemente legato al territorio, come vuole il suo proprietario. Per certe bottiglie, per certe idee e certe filosofie, è impossibile trovare altre parole, meglio lasciare che il racconto esca dalla bocca dei suoi protagonisti.
“Io sono arrivato in Langa come cliente, per comprare il vino e mi è piaciuta da subito la zona. Volevo cambiare vita da sempre e nel ’88-‘ 89 abbiamo deciso di farlo. Le opzioni erano due: potevamo aprire un ristorante o fare il vino. Nel ‘92 abbiamo trovato la Cascina Ebreo, in rovina, siamo stati costretti ad estirpare vigneti che non potevano essere salvati, buttati in terra e aggrovigliati per decine di anni. Interi vigneti da Nebbiolo di 25-30 anni, c’era da piangere. Anche la casa era una stalla prima, sopra c’era il fienile, è stata una bella avventura, ricca di sorprese, siamo ripartiti da zero.”
“La Cascina Ebreo all’inizio aveva una cantina con botti e gabbie, era strapiena, non avevi spazio nemmeno per muoverti all’interno. Quando ho iniziato la produzione ho fatto tutto ciò che mi hanno detto: chiarifiche, filtrazioni e tutte le altre operazioni richieste. Arrivato il momento dell’assaggio a tutti è piaciuto, ma a me no. Dal ‘97 ho cambiato ogni cosa e ho iniziato a fare i vini come sono, il risultato solo dei vigneti. Mi dicevano che ero ingenuo all’epoca. Mi hanno detto che avevo perso il treno, perché nessuno faceva più i vini così, invece oggi tutti fanno i “vini artigianali”, termine che odio, io uso il termine “unplugged” perché, come con la chitarra acustica, si sente solo la vigna. La tradizione di fare vino è lavorare con la vigna per sentire la zona, se no non ha senso, potrebbe venire da qualsiasi parte del mondo. Nella zona di Barolo tutto è perfetto e spiegare il perchè è impossibile. C’è il terreno, c’è il microclima, ma non abbiamo capito cosa sia a fare il vino così grande. La mia idea era di non fare mai Barolo, non mi interessava delle denominazioni, per come la vedo io non servono. Voglio un vino onesto con se stesso, la metafora che uso è quella della musica: siamo passati dal disco, con la vera canzone incisa, un po sporca, complesso non perfetto, al cd in digitale che ha una parte di quella informazione, poi c’è l’MP3, completamente pulito. Uguale con il vino, ma egli vive nelle proprie imperfezioni che lo caratterizzano, non si può pulire ed omologare completamente. Manca il coraggio, a volte, di fare quello che si ha in testa senza guardare il marketing, la gente, io sono convinto che con questo concetto si vinca. Cosa bisogna fare? Siamo artigiani, siamo contadini” – Peter Weimar
“Che cosa cerco in un buon vino? La realtà. Estremamente, la realtà”
Peter Weimer